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Ci sono momenti in cui alla Storia dell’Arte vengono
affidati compiti fondamentali. Accadde così negli anni a cavallo fra Sette e
Ottocento, diciamo grosso modo in epoca neoclassica, allorquando la Storia
dell’Arte fu chiamata a definire il senso di un passato sintonizzato con gli
ideali della Rivoluzione Francese.
Accadde così verso il 1870, allorquando la
rivoluzione politica e la rivoluzione impressionista permisero a Thorè-Burger di
identificare l’immenso precedente di Vermeer. Accadde così anche negli anni fra
le due guerre mondiali, in un clima che costrinse (userei proprio questa parola)
Roberto Longhi a scrivere "Arte Italiana e Arte Tedesca". Quello che viviamo è
uno di questi passaggi.
Nel momento in cui la globalizzazione della cultura è
evento non solo acquisito, ma foriero di imprevedibili, oggi forse incredibili,
ma probabilmente meravigliosi meticciamenti delle civiltà, ogni civiltà,
appunto, chiede di conoscere il senso e la ricchezza del proprio passato. E’
quanto ho cercato di esplorare nel mio recente libro "Le tre vie della Pittura",
edito da Electa. In questo preciso istante, un uomo italiano e una donna cinese
stanno
sposandosi, e nascerà un italo-cinesino. Sarà o non sarà nostro primo
dovere spiegargli che per parte di cromosomi paterni egli proviene dal museo
degli Uffizi, e per parte di cromosomi materni dal museo di Taipei, che
significa dall’immensa cultura di Pechino?
E’ abbastanza esaltante, oltre che
infinitamente istruttivo, scoprire che la circolazione sanguigna della civiltà
figurativa occidentale (parliamo di quella, perché è la nostra civiltà) è
costituita, oggi come sempre, soprattutto dal collezionismo, dal mercato, dal
ruolo decisivo, talora anche scientificamente risolutivo, delle case d’asta. Gli
infiniti atti d’amore (di questo si tratta, infatti) che, giorno dopo giorno,
permettono alle opere d’arte di trovare nuove collocazioni presso collezionisti
che, attraverso di esse e dei valori di cui sono portatrici, ottengono, magari
inconsciamente, qualche risposta alla famigerata domanda: chi siamo, da dove
veniamo, dove andiamo?; gli infiniti atti d’amore e di curiosità di
collezionisti giovani, che alle aste comprano opere di artisti emergenti cinesi
o islamici; tutto questo è fondamento vitale della nostra civiltà, che proprio
nella libertà palesa la volontà non solo di capire le proprie radici, ma anche
di incontrare i frutti più alti delle altre culture.
Il dialogo fra le civiltà,
infatti, non può partire che dai raggiungimenti più elevati delle medesime,
laddove la cultura si sublima nella creazione artistica. Ecco perché non credo
di sbagliare (ne ho esperienza diretta per le tre grandi mostre che ho
organizzato recentemente, "L’Anima e il Volto", "Il Cinquecento Lombardo" e "Il
Gran Teatro del Mondo") se dico che la disponibilità al prestito dei grandi
collezionisti intelligenti, e i grandi collezionisti sono sempre intelligenti,
si è fatta sempre più aperta e generosa. Hanno comprato molto spesso nelle aste
internazionali. E adesso ragionano così: convivo con quest’opera da anni;
quest’opera ha appagato il mio senso della Bellezza e mi ha aiutato a capire il
senso della mia vita, perché dovrei negare ad altri la possibilità di amarla a
loro volta? Amandola, comprendendola, saranno indotti a meditare sul senso della
nostra e della loro civiltà. Ecco, questo è il circolo virtuoso che non solo
esiste (posso testimoniarlo, ripeto, e non credo di peccare di ottimismo), ma
che dovrà sempre più abbattere i lacci e i lacciuoli della burocrazia.
La
libertà crea circolazione e mercato. Il mercato crea consapevolezza e cultura.
La cultura crea libertà. Come volevasi dimostrare.
Articolo di Flavio Caroli pubblicato sul n. 1 della
Gazzetta delle aste