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Paganini non ripete
Arte all'incanto
Momenti fondamentali
L'Italia malata di misoneismo
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"Un fantasma, purtroppo non uno spettro, s’aggira per l’Italia, e purtroppo non
per l‘Europa come ebbe a dire centocinquant’anni fa un noto filosofo tedesco. Il
fantasma attuale corrisponde ad una patologia non ancora del tutto individuata e
dal nome poco conosciuto “Il Misoneismo“, che non è come si potrebbe intendere
una malattia delle ossa, ma un comportamento della psiche che corrisponde
all’odio per il nuovo. Trae la sua etimologia dal greco, come misoginia e
misantropia, dal verbo miseo (odiare) e dal sostantivo neos (il nuovo). Gli
italiani d’oggi non amano più il nuovo, temono il domani e forse per
questo
motivo hanno deciso di non fare più figli. La causa di questo disagio non è
affatto accertata, magari è politica, magari è solo dovuta ad un impigrimento
generalizzato, o forse è generata dalla consapevolezza dei guai futuri che
derivano dagli anni troppo spensierati durante i quali si spese con allegria, si
dissipò con determinazione e si lasciò crescere irresponsabilmente il bubbone
della corruzione. Chissà? Certo è che gli Italiani, secondo il parere di alcuni,
stanno andando sotto coperta oppure, secondo il parere degli altri, compiono
l’ultimo giro di danza sul precipizio. Questo comportamento che lascia crescere
preoccupazioni ormai quasi esistenziali nel campo dell’economia e della vita
sociale ha anche ricadute molto significative nel mondo e nel mercato dell’arte.
Così come nelle questioni della politica anche in questo campo gli italiani sono
diventati misoneisti. Si rifugiano nelle certezze d’un passato ormai incerto
perché inafferrabile e si consolano pensando d’avere comunque ereditato la
fortuna di possedere il più vasto patrimonio artistico del mondo. Seguono con
passione le mostre di Parmigianino o di Canaletto, anzi, per la prima volta
scoprono in massa la cultura del passato, la passione per la cultura del
passato, ed è questa una passione che non esige approfondimenti particolari,
richiede solo una inclinazione all’argomento e la voglia di sentirsi partecipi.
La storia rassicura, garantisce l’appartenenza e le radici. Il presente invece
preoccupa. Individuare una situazione “chiara e fresca” dell’arte attuale sembra
quasi impossibile. L’odio del nuovo proviene dalla paura e la paura
dall’incertezza. Vi è una incertezza trasversale e costante su tutto ciò che
appare come innovativo o anche genericamente alternativo. Della contemporaneità
è tollerata solo quella parte certificata dalla garanzia d’un proprio percorso
già stabilito, sicché volentieri si accetta una avanguardia che rimane
immutevolmente la medesima da venti o trent’anni e che viene con dottrina
insegnata nelle accademie. Nell’area vasta della contemporaneità che dovrebbe
prevedere la sperimentazione e quindi il rischio, si anela alla sicurezza. Si
guarda un presente che nella realtà effettiva è un ieri. Non potendo però
evitare di guardare all’oggi, ed essendo comunque attratti dalle novità della
moda e dal fascino luccicante delle carrozzerie, si deve trovare altrove la
modernità che si odia in casa. Ecco forse il motivo di fondo che porta l’Italia
ad amare con trasporto Anselm Kiefer o Damien Hirst, gli ultimi ritrovati che le
sono stati proposti dalla grande distribuzione internazionale. Perché il
mercatone internazionale sembra dare certezze. Ed ecco che alla Biennale 2005,
nel padiglione Italia, che tale è secondo Croff per l’ultima volta e poi
scomparirà da qualche parte all’Arsenale di Venezia, in quel padiglione dove
venne esaltato il Futurismo e Carrà del Novecento, dove passarono Margherita
Sarfatti e il meglio dell’intelligenza postbellica, compresa la contestazione
sessantottina, ebbene in quel padiglione, proprio in quello lì, su cinquanta
artisti, di italiani ve ne saranno solo cinque, già garantiti dall’essere stati
ammessi nel gotha del circuito trendy. Il tutto sotto la selezione benedicente
di due cortesi signore spagnole che hanno conquistato i galloni
dell’intelligenza indagatrice in un museo del MidWest americano o organizzando
utili mostre ispaniche su Julian Schnabel. Un ottimo contributo di
rinvigorimento nazionale per la grande battaglia di confronto con i mercati di
domani, e questi purtroppo non solo artistici."
Questo è quello che scriveva Philippe Daverio sul n. 1/2005 della Gazzetta delle
Aste. Leggendo l'articolo oggi, e considerato che in questo periodo la malattia
del misoneismo è talmente evidente che chiunque
si sente di certificarla, pare un pezzo quasi banale che dice cose quasi
ovvie. Tuttavia, da questa grave malattia si può uscire e
oggi è proprio la crisi che ci viene in soccorso. Non lo diciamo noi della
redazione di PITTart, ma lo ha detto, in occasione della crisi del 1929, il
premio Nobel Albert Einstein: "non possiamo pretendere che le cose cambino, se
continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione, perché
è nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. E' nella
crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo
lievi brezze. Finiamola dunque una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa,
che è la tragedia di non voler lottare per superarla".
Dunque è la crisi che ci
costringe a cambiare, perché "senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze".
Se molti stessero bene, avessero un lavoro, del denaro da spendere, i figli in
una scuola degna di questo nome e il paracadute di un sistema sanitario
efficiente ed efficace, nulla cambierebbe, nonostante la corruzione, i ladri, i
finanziamenti illegittimi, le troppe non decisioni, la fame di lavoro e tutti
gli altri mali che da anni affliggono il popolo italiano. Finiamola
dunque con il misoneismo!, finiamola con la tragedia di non voler lottare per
cambiare! Philippe Daverio e Albert Einstein, lo hanno ben spiegato, ma prima di
loro, lo ha scritto nella particella atomica, madre natura, se è vero che "nulla
si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma". Se i nostri nonni sono
stati capaci di sperare e avere dei figli sotto le bombe, noi non attendiamo di
avere una crisi simile per cambiare.