Diritto di seguito e riproduzione
Paganini non ripete
Arte all'incanto
Momenti fondamentali
L'Italia malata di misoneismo
Potrebbero anche interessare le leggi dell'arte e degli artisti:
Statuto artista
Diritto d'autore
Codice beni culturali
Convenzione Berna
Ci vorrebbe l’abilità e l’acume dei grandi eredi della Commedia dell’arte come
Jean Baptiste Poquelin, detto Molière o come Carlo Goldoni, per descrivere i
«figuranti» che in numero sempre crescente rivendicano diritti sulle opere
d’arte e lo scenario nel quale operano. Non sempre l’artista è consapevole, suo
malgrado, che con l’alienazione di una sua creazione innesca un meccanismo del
quale non sarà più lui a muovere gli ingranaggi. Se quando vende la sua opera
pensa di avere un solo soggetto al quale dover rendere conto, cioè il suo
acquirente, fa un errore. Lo stesso errore fa l’acquirente che, sbagliando,
pensa che una volta pagata l’opera, questa gli appartenga. Ecco infatti che
compaiono sulla scena i variopinti personaggi della «Commedia dell’arte» che, a
vario titolo, si autoproclamano detentori assoluti di diritti morali ed
economici su opere partorite non certamente dal loro ingegno. Coniugi di prime e
di seconde nozze, figli di primo e di secondo letto, nipoti, pronipoti,
segretari, assistenti, servitori, esecutori testamentari e via
discorrendo,
tutti rivendicano il diritto di percepire «diritti», ritenendo di essere gli
unici legittimi depositari e proprietari dell’idea, e forse dell’anima
dell’artista. Zuffe da cortile e risse in tribunale vengono finalmente tacitate
con la creazione di Fondazioni, Archivi, Comitati per la tutela dell’immagine
eccetera, dove, salomonicamente, i vari pretendenti si spartiscono l’artista. Se
fosse l’artista stesso ad essere così agguerrito nel ricevere proventi extra del
suo lavoro, diritto di seguito, diritti di riproduzione, copyrights, lo si
potrebbe capire. Ma non è così. Molti sono gli artisti viventi che
preferirebbero avere un rapporto commerciale più libero che consentisse loro, ad
esempio, di vendere assieme all’opera anche tutti i diritti successivi. Non
possono, gli è impedito per legge (il diritto di seguito è irrinunciabile e
inalienabile). Alcuni, anche grandi artisti, non hanno nessuna pretesa economica
sulla riproduzione delle loro opere in cataloghi o libri, chiedendo solo che
questa venga rispettata senza subire manipolazioni. Viceversa i cosiddetti eredi
o aventi causa non transigono. Facciamo alcuni esempi. La Fondazione Palazzo
Albizzini «Collezione Burri» chiede 141 euro ogni riproduzione di opere a colori
, siano anchequeste opere grafiche; 52 euro per il «noleggio» di un fotocolor.
Quindi se, come è accaduto, alla domanda di un giovane gallerista se dovesse
qualcosa per pubblicare un piccolo catalogo di una mostra con 20 opere grafiche
(il cui prezzo è ben diverso dalle opere uniche di Burri) la richiesta è stata
di 3.384 euro. Risultato: il gallerista ha, con rammarico, rinunciato a
pubblicare le immagini. Per le opere di artisti tutelati la S.I.A.E. chiede, a
seconda del formato dell’immagine da riprodurre e dal numero di tiratura delle
copie, da 48,81 euro a 305,85 euro per ogni riproduzione a colori, e da 20,99
euro a 169,73 euro per quelle in bianco e nero con una riduzione del 20% per
tirature inferiori alle 1500 copie. Sono previste altre riduzioni tariffarie,
del 20% per edizioni tascabili o economiche, fino al 50% per volumi scolastici
(sic!), e fino al 40% se si superano le 150 riproduzioni. La tariffa aumenta
invece del 25% se i volumi sono di pregio. Un piccolo editore che voleva
stampare 500 copie di un libro con 60 riproduzioni a colori e 20 in bianco e
nero formato 1/2 si è visto richiedere, calcolate le riduzioni, un totale da
versare di 3545 euro. Risultato: essendo il costo dei diritti da pagare
superiore al prezzo della stampa, l’editore ha rinunciato a riprodurre quasi
tutte le immagini. Le tabelle della S.I.A.E. confondono il legittimo principio
dei diritti d’autore con la parcellizzazione dell’uso dell’immagine che, in una
società globalizzata, appare ormai solo triste retaggio delle vecchie gabelle
feudali. La cosa paradossale è che il preteso diritto non si riferisce a opere
di proprietà degli eredi, di Musei o delle Fondazioni, ma a opere che possono
essere allocate nel salotto di un dentista di Bitonto o nello studio di un
commercialista di Gallarate, che le hanno profumatamente pagate, e che non
chiedono niente a nessuno. Non si vuole qui difendere corporativamente il
mercato, ma non si può non riconoscere che un merito ce l’ha: quello di vendere
un bene. Questi signori invece vendono (perchè di vendita si tratta) il nulla. E
hanno in più la responsabilità di essere di forte ostacolo alla circolazione e
fruizione della cultura della quale si proclamano invece tutori e paladini. Chi
moralizzerà i moralizzatori? Monsieur Molière à vous la réponse.
Articolo di Sonia Farsetti (Presidente Associazione
Nazionale Case d'Asta)
pubblicato su: n.8 La Gazzetta delle Aste